Rubrica: “Le Granatine si raccontano”. Intervista a Genni Pantani

-Possiamo dire che la passione per il calcio è un’eredità di famiglia?

“Si, sono cresciuta in un ambiente familiare legatissimo al mondo del pallone. È stata mia sorella Giada in particolare a trasmettermi la passione per questo sport; la vedevo giocare e ho iniziato anche io. Un ruolo importante lo hanno avuto anche i miei compagni di classe delle elementari: quando ero piccola le squadre femminili ancora non c’erano, loro mi hanno invitato a giocare nella squadra di paese, così per provare. Lì è nata la passione e non ho più smesso. Ho giocato con i ragazzi fino a 14 anni, ciò mi ha aiutato tantissimo a livello tecnico e di velocità di gioco. Consiglio a qualsiasi bambina, che si approccia a questo mondo, di giocare il più possibile con i maschi. Io sono stata molto fortunata nel trovare un gruppo valido e unito.”

-Nella partita di domenica scorsa contro il Cittadella hai giocato in un nuovo ruolo come centrocampista. Ti piace sperimentare o sei affezionata al tuo ruolo di tradizionale di terzino sinistro?

“Avevo già precedentemente provato questo ruolo, la partita di domenica è stata come  un tuffo nel passato. Sicuramente in questa categoria è tutta un’altra cosa rispetto a provarlo nella categoria juniores. Ho vissuto il cambiamento con tranquillità, mettendomi in gioco, con la consapevolezza delle difficoltà che mi aspettavano.”

-Nei giorni scorsi è emersa l’idea, poi naufragata, di una Superlega con i grandi club europei. È un progetto affine alla tua idea di calcio? Parlando anche da tifosa juventina.

“Da un lato comprendo la difficoltà economiche delle Big europee  in questo particolare momento storico. Il Covid ha travolto tanti settori, tra cui sicuramente quello calcistico. Da altra parte però credo che il mondo dello sport non debba essere guidato esclusivamente da logiche di mercato: la prospettiva di una Superlega avrebbe  danneggiato il vasto panorama delle squadre più piccole, fondamentali per il movimento internazionale. Venivano meno la possibilità per i club minori di sfidare le grandi del campionato, l’inclusività e la meritocrazia, principi fondamentali e ineludibili. Un modello troppo “chiuso” per il calcio che è di tutti, non di pochi eletti.”

Intervista realizzata da Valentina Ulivieri 

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